venerdì 13 giugno 2014

I governatori della Milano spagnola

Premessa storica

Francesco II Sforza, l'ultimo duca di Milano, morì il 2 novembre del 1535. Anche se pochi giorni dopo lo stendardo imperiale di Carlo V sventolava già sui torrioni del Castello, si dovette attendere fino al 1544 perché Milano potesse avere una sorte certa ed un "legittimo padrone". Infatti, con il trattato di Crepy (firmato per porre fine alla guerra con la Francia) Carlo V ottenne il diritto di scegliere tra una di queste due alternative: tenere il Ducato di Milano e cedere i Paesi Bassi al duca di Orleans, oppure preferire l'ipotesi inversa, cioè tenere i Paesi Bassi e cedere Milano.


La scelta effettuata nel 1545 avrebbe potuto cambiare il corso della storia: Carlo V decise infatti di cedere Milano, giudicata dai suoi consiglieri eccessivamente ostile agli Spagnoli e possibile fonte di preoccupazioni politiche. Ma a soli sei mesi da tale decisione, la morte improvvisa dell'Orlèans fece sì che Carlo V si rimpossessasse della città, per poi affidarla al figlio, Filippo II. Solo a questo punto Milano entrò ufficialmente nell'orbita di un impero vastissimo, fatto di una miriade di territori diversi retti da leggi e consuetudini differenti. Del resto, anche il territorio dello Stato di Milano era a sua volta ben lontano dal costituire un organismo unitario, essendo formato dal Ducato di Milano, dalla contea di Como, dalla contea di Novara, dal contado di Vigevano, dal principato di Pavia, dalla contea di Lodi, dalla contea di Alessandria e Tortona, dalla provincia di Cremona. Tutti soggetti amministrativi dotati di una certa autonomia finanziaria, all'interno dei quali, inoltre, sopravvivevano ulteriori ripartizioni locali (città e borghi) con propri privilegi e consuetudini.
Oltre allo Stato di Milano, l'impero di Carlo comprendeva, sul suolo italico, altri due possedimenti: Napoli e la Sicilia. Per la gestione dei tre territori venne creato il Consiglio d'Italia, in seno al quale sedevano un presidente (di alta nobiltà spagnola) e sei reggenti, tre spagnoli e tre "naturali", ovvero uno per ciascuna provincia spagnola. In ciascuna provincia, inoltre, sedeva un amministratore che si relazionava direttamente col re di Spagna: il Governatore, per Milano, il Vicerè per Napoli e Sicilia.
Il Governatore di Milano era dunque di nomina regia, e manteneva la sua carica per tre anni, anche se nulla di preciso era stabilito in materia. Egli era a capo di un vasto organismo chiamato Cancelleria Segreta, composta da impiegati e funzionari, una sorta di piccola corte. Il governatore non era però il rappresentante militare, carica che spettava al Castellano. Tuttavia moltissimi Governatori riuscirono a sommare i due incarichi.
Il governatore, appena entrato in carica, riceveva il giuramento della città e dei feudatari, e la retribuzione annua era pari a 24.000 ducati. Nei momenti di sua assenza da Milano o in caso di interregno, i poteri politici e amministrativi venivano affidati al Castellano, oppure al Presidente del Senato. Solo in un secondo tempo si affidò l'interinato al Consiglio Segreto.
I poteri del Governatore erano quelli tipici di un capo di Stato, benché del suo operato egli dovesse rispondere al re di Spagna. Suoi compiti erano quelli di natura diplomatica, religiosa, monetaria e finanziaria. Presiedeva il Consiglio Generale dei 60 decurioni. Aveva potere di ordinanza, cioè potestà normativa, poteva accordare la grazia e nominava direttamente le cariche biennali. Non del tutto chiariti erano tuttavia i rapporti tra Governatore e Consiglio d'Italia.

Elenco dei governatori

Presentiamo di seguito la serie di governatori succedutisi nel comando del Ducato di Milano in età spagnola, secondo l'elencazione data alle stampe nel 1776 ad opera di Francesco Bellati (vedi Bibliografia).
1535, 2 novembre
Antonio de Leyva, principe di Ascoli, capitano della lega difensiva d'Italia, cesareo luogotenente generale nel dominio milanese.
Ebbe per primo l'idea di una nuova cinta muraria cittadina. Morì nella guerra di Provenza il 15 settembre 1536, e fu sepolto in Milano, nella chiesa di San Dionigi.
1536, 9 ottobre
cardinale Marino Caracciolo, cesareo luogotenente generale del dominio milanese.
Ebbe solo poteri politici ed economici (i poteri militari vennero attribuiti a don Alfonso d'Avalos d'Aquino, marchese del Vasto).  Morì in città il 28 gennaio 1538.
1538, febbraio
don Alfonso d'Avalos d'Aquino, marchese del Vasto, capitano generale in Italia, luogotenente di sua maestà cesarea per lo stato milanese.
Durante il suo governo vennero promulgate le Nuove Costituzioni (vedi la pagina su Bartolomeo Arese e il Senato di Milano). Morì a Vigevano il 31 marzo del 1546.
1546, aprile
don Alvaro de Luna, castellano, ottenne la carica interinalmente.
1546, 1 ottobre
don Ferrante (o Fernando) Gonzaga, principe di Molfetta, duca di Ariano, capitano generale e luogotenente.
Fece erigere la nuova cinta muraria, detta dei bastioni (vedi il post sul Castello Sforzesco e la cinta bastionata) avvalendosi di Giovanni Maria Olgiati, e potenziare il Castello. Aumentò la grandezza della piazza del Duomo.
Fu uomo di vasta cultura e amante dell'arte. Si avvalse del genio di Domenico Giunti, cui affidò un piano architettonico unitario per migliorare la città. Si fece erigere, dallo stesso architetto, una prestigiosa villa di campagna, villa Simonetta.
1555, 12 giugno
don Ferdinando Alvarez de Toledo, duca d'Alba, cesareo luogotenente e capitano generale d'Italia. Il 31 gennaio 1556 viene trasferito.
1556, giugno
cardinale Cristoforo Madrucci, vescovo e principe di Trento e Bressanone, luogotenente.
1557, gennaio
don Giovanni de Figueroa, castellano, governò interinalmente.
1558, 20 luglio
don Consalvo Ferrante de Cordova, duca di Sessa, capitano generale.
1560, giugno
Francesco Ferdinando d'Avalos de Aquino, marchese di Pescara.
Emise numerosi editti sulle monete, al fine di dar loro una sistemazione razionale. In materia finanziaria stabilì anche il divieto, per i sensali (mediatori di valute), di esigere più di un sesino sopra ogni scudo o altro prezzo d'oro nei cambi della specie, o valute ricercate.
1563, 27 marzo
don Consalvo Ferrante de Cordova, duca di Sessa, per la seconda volta.
1564, 16 aprile
don Gabriele de la Cueva, duca di Albuquerque, marchese di Cugliar, conte di Ledesma e Huelma. Capitano generale di SM Cattolica in Italia.
Descritto come buon governatore, durante una carestia non lesinò gli aiuti ai bisognosi elargendo sussidi. Morì a Milano il 21 agosto 1571, fu sepolto nella chiesa dei Cappuccini di S. Vittore agli olmi in porta Vercellina.
1571, 21 agosto
governo interinale dei consiglieri del Consiglio Segreto.
1571, settembre
don Alvaro de Sande, capitano generale per SM in Italia, castellano di Milano.
Con lui il Senato prese il titolo di Eccelso e Eccellentissimo.
1572, 7 aprile
don Luigi de Requesens, commendatore maggiore di Castiglia, del consiglio di stato e capitano generale di SM cattolica in Italia.
Si adoperò contro gli abusi e gli strapoteri degli Ecclesiastici. Passò poi a governare le Fiandre.
1573, 17 settembre
don Antonio de Guzman, marchese d'Ayamonte, del consiglio segreto di SM e capitano generale in Italia.
Si impegnò per arginare i problemi della terribile peste del 1576-1577, promulgando numerosissime grida in materia.. Morì a Milano il 20 aprile 1580, fu sepolto nella chiesa della Pace.
1580, aprile
governo interinale dei consiglieri del Consiglio Segreto.
1580, luglio
don Sancio de Guevara e Padiglia, castellano e capitano generale in Italia.
Apprezzato da Carlo Borromeo per le sue inclinazioni religiose. Eliminò alcuni privilegi introdotti dai suoi predecessori.
1583, 21 marzo
don Carlo d'Aragona, principe di Castelvetrano, duca di Terranova, marchese d'Avola, conte di Burgeto, grande ammiraglio, gran contestabile di Sicilia, capitano generale in Italia.
Stabilì che i governatori venissero appellati col titolo di Magnifici o Spectabiles, e il Senato Potentissime rex. A quest'ultimo tolse il potere di avocare a se le cause di spettanza dei giudici inferiori.
1592, 4 dicembre
Ivan Fernandez de Velasco, contestabile di Castiglia, cameriere maggiore di SM in Italia, duca di Frias, conte di Haro e Castelnuovo, signore della casa dei Velasco, capitano generale in Italia.
1595, 11 marzo
don Pietro di Padiglia, castellano. Governò interinalmente.
1595, novembre
Ivan Fernandez de Velasco, per la seconda volta.
Prese numerose iniziative contro gli abusi ecclesiastici, fu ricordato tuttavia per aver autorizzato l'apertura della via detta tutt'oggi Velasca, a spese di Ermete Visconti, affinché la via Larga fosse agevolmente unita al corso di porta Romana, di modo che migliore risultasse la sfilata dei carri di carnevale.
Contro il lusso delle classi agiate, emise una grida, in occasione del carnevale, perché nessuno osasse vestirsi con tele d'oro o d'argento o drappi di seta, pena la confisca dell'abito.
1600, 16 ottobre
don Pietro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes, del consiglio di stato di SM cattolica, capitano generale
Introdusse l'obbligo per gli stampatori di sottoporre ogni libro all'approvazione del governo. Dispose il trasferimento delle bancarelle del mercato ortofrutticolo dalla piazza del Duomo alla vicina zona del Verziere, per rispetto verso la cattedrale. A lui si deve il palazzo del capitano di giustizia. Uniformò i pesi e le misure.
Condusse il naviglio pavese quasi al Ticino, secondo i progetti originari. Non riuscì comunque a portare a termine l'opera di sterramento, benché di ciò si volesse vantare facendo erigere (1605) il famoso monumento, con magniloquente epigrafe latina, posto tra la Darsena e l'imbocco del naviglio pavese (il cui ponte fu poi detto quindi "del trofeo"; poi tale manufatto fu demolito nel 1865, e parzialmente conservato presso i Civici musei d'Arte Antica).
Morì a Milano il 22 luglio 1610.
1610, luglio
governo interinale dei consiglieri del Consiglio Segreto, per gli affari politici ed economici; don Diego de Portugal, conte di Jeleus, del consiglio supremo di guerra, castellano, per gli affari militari. Quest'ultimo ebbe numerosi scontri di competenze con il consiglio segreto, volendosi arrogare tutto il potere di governo.
1610, dicembre
Ivan Fernando de Velasco, per la terza volta.
Introdusse il principio secondo il quale le gride dei governatori continuassero ad avere effetto per due mesi dopo la morte del governatore promulgante. Si impegnò contro l'incetta del grano, autorizzando i "prestinai" a prendere al prezzo comune il grano di cui abbisognassero, a prescindere dal prezzo praticato dagli speculatori.
1612, maggio
governo interinale dei consiglieri del Consiglio Segreto.
1612, 30 luglio
don Giovanni de Mendoza, marchese de la Hynoiosa, gentiluomo della camera e del consiglio di guerra, generale dell'artiglieria di Spagna.
Istituì la milizia nazionale, per la custodia della città. Partì per la guerra del Monferrato lasciando il governo al castellano.
1614, 20 agosto
don Sanchio de Luna e Rojas, castellano, membro del consiglio segreto, governò in assenza di Giovanni de Mendoza.
1614, novembre
don Giovanni de Mendoza, ritornato dalla campagna militare.
1616, 13 agosto
don Sanchio de Luna, per nuova assenza del Mendoza.
1616, 19 gennaio
don Pietro de Toledo Osorio, marchese di Villafranca, membro del consiglio di stato, capitano generale.
Fu l'artefice della cosiddetta "Concordia Giurisdizionale" per la riappacificazione tra il foro secolare e quello ecclesiastico.
1618, 22 agosto
don Gomez Suarez de Figueroa e Cordova, duca di Feria, capitano generale.
Dovette affidare temporaneamente al Consiglio Segreto il governo di Milano, per assenza dovuta a motivi militari. Vietò ai sudditi milanesi di far stampare i libri all'estero.
1625, aprile
interinalmente, i consiglieri del Consiglio Segreto.

1626, 22 maggio
don Gonzales Fernandez de Cordova, capitano generale del consiglio di guerra. Prima interinalmente, poi confermato per il triennio.
Numerosi provvedimenti in favore dei poveri, con blocco dei prezzi del pane e delle biade. Questa manovra tuttavia spinse i fornai a chiudere bottega, con conseguente assalto alle rivendite ("rivolta di S.Martino", descritta nei Promessi Sposi).
Ordinò che nei processi, allegazioni e suppliche di parti fossero raccolte in libri, quando formate da più fogli.



1629, 29 agosto
don Ambrogio Spinola Doria marchese de los Balbases, commendator maggiore di Castiglia, capitano generale del consiglio di stato.
Si ammalò sul campo di battaglia del Monferrato, e morì poco dopo aver ceduto il governo interinalmente al Consiglio Segreto.



1630, febbraio
interinalmente il Consiglio Segreto.
1630, 3 dicembre
don Alvaro Bazan marchese di santa Croce, generale del mare, capitano generale.
Partecipò alla guerra del Monferrato, alla sua uscita dalla città fu insultato dalla folla.
1631, 30 marzo
Duca di Feria, per la seconda volta.
Iniziò con lui la tassa della Mezzannata. La rese poi meno gravosa per gli impiegati pubblici. Partecipò alle manovre in Monferrato e poi alla campagna d'Alsazia contro gli eretici.
1633, 24 maggio
don Ferdinando, infante di Spagna, fratello del Re, cardinale e arcivescovo di Toledo.
1634, 14 luglio
don Gil de Albornoz, cardinale di santa Maria in Via, capitano generale.
1635, 17 novembre
don Diego Felippez de Guzman, marchese di Leganes, Gentiluomo della sua camera, presidente del consiglio di fiandra, cap. gen d'artiglieria di Spagna, commendator maggiore di Leone, primo cavallerizzo, (…).
1636, aprile
don Ferdinando d'Affan de la Riviera, Enriquez duca di Alcalà.
Morì a Vienna, inviatovi quale plenipotenziario.
1636, giugno
don Diego Felippez de Guzman, per la seconda volta.
Istituì l'archivio generale, ingiunse ai notai di usare libri bollati, come anche i tesorieri, mercanti, banchieri e simili.
1637, giugno
consiglieri del Consiglio Segreto, interinalmente. Contemporaneamente anche il Cardinale Trivulzio firmò alcune gride, a titolo, evidentemente, interinale, con una non chiara sovrapposizione al Consiglio Segreto.
1641, 12 febbraio
don Giovanni de Velasco e della Cueva, conte de Sirvela, capitano generale.
1643, agosto
don Antonio Sanchio Davila, Toledo e Colonna marchese di Velada.
1646, 24 febbraio
don Bernardino Fernandez de Velasco e Tovar, contestabile di Castiglia e di Leone, duca di Frias, marchese di Verlanga, conte di Haro e Castelnovo, signore della casa di Velasco e Tovar, coppiere maggiore e cacciatore maggiore, capitano generale di Castiglia la Vecchia e delle corti del mare. Si impegnò su alcuni problemi della procedura criminale e sulla velocità dei giudizi.
1647, 15 novembre
don Inigo Fernandez de Velasco e Tovar, conte di Haro.
Figlio del precedente governatore, fu nominato per quattro mesi, per supplire alla malattia del padre.
1648, 25 giugno
don Luigi De Benavides Carillo e Toledo, marchese di Fromista e Caracena, conte di Punac, signore delle ville di Yues, S.Munoz, e Matilla, cavaliere dell'ordine di San Giacomo, commendatore di Gnamachiucco, gentiluomo di Camera.
Vietò alle carrozze di attraversare le funzioni pubbliche che si svolgevano lungo le vie. Proibì inoltre alle meretrici di passare in carrozza lungo i corsi frequentati dalle dame.
1656, 1 aprile
Teodoro cardinale Principe Trivulzio.
Morì a Milano nel marzo del 1657, e fu sepolto in santo Stefano in Brolio nella cappella di famiglia.
1656, 5 settembre
don Alfonso Perez de Vivero, conte di Fuenseldagna.
Proibì che durante il carnevale, nelle case private i festeggiamenti continuassero oltre la mezzanotte, e vietò pure che a tali festini entrassero uomini travestiti da donna e donne da uomini.
1660, aprile
interinalmente i consiglieri del Consiglio Segreto.
1660, 13 maggio
don Francisco Gaetano duca di Sermoneta e di san Marco, principe di Caserta, marchese di Cisterna, signore di Bassiano, Ninfa, S.Felice, e S.Donato; cavaliere dell'ordine del toson d'oro.
Vietò che si giocasse per le strade durante le ore della dottrina cristiana.
1662, 5 giugno
don Luigi de Guzman, Ponze de Leon, gentiluomo della camera di SM, capitano della guardia spagnola.
Istituì gli appalti per gli alloggiamenti delle truppe. Morì a Milano il 29 marzo 1668, e trovò sepoltura presso la chiesa di S.Maria alla Scala.


1668, 14 aprile
interinalmente don Paolo Spinola Doria, marchese de los Balbases.
Paolo Spinola Doria (nato a Milano il 24 febbraio 1632 e morto a Madrid il 23 dicembre 1699) è figlio di Filippo, a sua volta figlio di Ambrogio, già governatore di Milano. Sposa Anna Colonna e ha un figlio Filippo. [Ringrazio di queste notizie Anna Bardazza Serralunga.]
1668, 10 settembre
don Francisco de Orozco, marchese de Olias, Mortara e s.Reale, gentiluomo della camera di SM.
1668, 28 dicembre
interinalmente i consiglieri del Consiglio Segreto.
Venne proibito agli osti di ospitare presso le loro osterie le meretrici al fine di gestire postriboli.
1669, marzo
interinalmente don Paolo Spinola Doria, per la seconda volta.
Raccolta di grida emanate da don Gaspare Tellez

1670, 21 maggio
don Gaspare Tellez Giron Gomez de Sandoval Enriquez de Rivera, duca di Ossuna, conte di Uregna, marchese di Pegnafiel e di Belmonte, cameriere maggiore, notaro maggiore dei Regni di Castiglia, clavero dell'ordine di Calatrava, tesoriere perpetuo della real casa della moneta di SM.
Vietò ai nobili di piantare davanti ai loro palazzi le colonnine-paracarro di pietra per delimitarsi porzioni di strada, poichè risultavano di grande intralcio alla circolazione.
Rimase tristamente famoso per aver insidiato alcune signore della nobiltà.



1674, 7 luglio
Claudio Lamoraldo principe di Ligne, de Amblice e del sacro romano impero, sovrano di Faignoles, cavaliere dell'ordine del toson d'oro.
Vietò per il futuro ai Governatori che si fossero trovati in impedimento di delegare le proprie funzioni alla moglie, ai figli o ai parenti, salvo specifiche autorizzazioni reali.
1678, 6 novembre
don Giovanni Tommaso Enriquez de Cabrera e Toledo, conte di Melgar, gentiluomo della camera di SM.
Istituì la necessità, per i Ministri, di ottenere autorizzazione governativa nel caso volessero uscire dai confini del ducato. Proibì il cumulo delle cariche pubbliche.
1686, 8 aprile
don Antonio Lopez de Ayala, Velasco e Cardenes, conte di Fuensalida, di Colmenar, signore dello stato di Villerias e delle ville di Orexa, Guecas, Lillo, Humanes, Guadamur. Primo capitano perpetuo di una compagnia della guardia vecchia di Castiglia.
1691, 26 maggio
don Diego Felippez de Guzman, duca di san Lucar la Major, marchese di Leganes, di Mayrena e di Movata, gentiluomo della camera di SM, commendator maggiore di leone nell'ordine di san Giacomo, signore delle ville di Valverde, Villar dell'Aquila, e Vacia Madrid, Alcade Perpetuo della casa reale, Regidore perpetuo di Madrid, capitano generale dell'artiglieria di Spagna.
Regolò le problematiche connesse alle truppe, come le vettovaglie, le munizioni, la fortificazione delle piazze, …
1698, 17 maggio
don Carlo Enrico di Lorena, principe di Vaudemont, conte di Bilth, Sarwerden, Folkenstein e Walham, barone di Fenestrange, signore di Flobecq, Lessines, Ninove Waure, cavaliere dell'ordine del Toson d'oro, gentiluomo della camera di sua maestà.
Tale Governatore mantenne il suo incarico anche dopo che nel novembre 1700 lo stato fu occupato dai Francesi col duca d'Angiò (col nome di Filippo V).
Sopraggiunti gli Austriaci nel settembre 1706, il Governo fu affidato dall'imperatore Giuseppe I a suo fratello Carlo III.
1706, 26 settembre
Eugenio principe di Savoia e Piemonte, marchese di Saluzzo, consigliere di Stato, presidente del consiglio aulico di guerra, maresciallo di campo, colonnello di un reggimento di dragoni, cavaliere dell'ordine del Toson d'oro.
Il suo ingresso a Milano segnò definitivamente la fine della dominazione spagnola: la città passò nelle mani degli Austriaci.

Bibliografia

Bellati F., Serie de' Governatori di Milano dall'anno 1535 al 1776 con istoriche annotazioni, 1776;
Benvenuti M., Il duca di Ossuna, 1876;
Mussi Cazzamini F., Milano durante la dominazione spagnola, 1947;
Papini L., Il governatore dello Estado di Milano (1535-1706), 1957;
Quazza R., Preponderanza spagnola, 1950;
Vigo G., Il governo della città, in Storia illustrata di Milano, vol. quarto, 1993.

   dicembre 2011
maurocolombomilano@virgilio.it

giovedì 12 giugno 2014

La villetta liberty di porta Magenta



In  quella che oggi è la via Toti n.2  (naturale continuazione dell’attuale piazzale Baracca) sorge
un palazzo di 5 piani degli anni cinquanta, il cui nucleo primitivo, tuttavia, risale agli inizi del Novecento.
La facciata interna


All’epoca, in questa zona di nuova urbanizzazione, ancora ricca di ortaglie e terreni agricoli pronti per la speculazione edilizia  (la porta Vercellina o Magenta, nella cinta muraria di epoca spagnola, ricostruita nel 1805 dal Canonica, era stata da poco demolita, nel 1885, e identica sorte subivano mano a mano i muri di difesa, permettendo di unire due territori separati) un nobile austriaco commissionò la costruzione di un caratteristico villino che ben si contestualizzasse con l’aspetto ancora campestre della zona, per meglio seguire le proprie passioni amorose in terra milanese.
La porta magenta in fase di demolizione

Ufficialmente, l’area sulla quale doveva sorgere l’edificio di due livelli affacciato sul piazzale  Magenta e sul tratto di strada ancora detto dei Bastioni di porta Sempione, era stata acquistata nel 1905 da  un certo Umberto Locarno, che secondo quanto risulta, altri non era se non un prestanome di un non meglio identificato principe d’austria-ungheria, il cui nome rimase per vari motivi segreto, cosa che ha fatto anche pensare alla presenza, in questa strana committenza, di uno dei tanti figli illegittimi dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Il principe, tuttavia, potè sfruttare la residenza milanese, terminata nel 1909, solo per pochi anni, trovando la morte nel 1914, in una delle battaglie polacche della I guerra mondiale.

La progettazione dell’edificio, pensato come una piccola villetta in stile liberty,  fu affidata all’architetto Gattermayer, che in Italia lavorò anche per progetti di restauro storico, come nella chiesa di Abbiategrasso. Questi, si avvalse dell’aiuto del più noto architetto Adolf Loos, per lo studio delle decorazioni e degli inserti più prettamente artistici. 
Adolf Loos
Loos, austriaco (1870-1933) è considerato uno dei pionieri dell’architettura moderna. Lavorò sia a  Vienna (dove progettò villa Steiner e la curiosa casa Scheu, con una copertura a terrazza, fatto del tutto nuovo per l’epoca),  sia a Parigi, anche se qui la maggior parte dei suoi lavori rimase allo stadio embrionale di progetto o studio, salvo il celebre caso dell’abitazione realizzata per il fondatore del dadaismo, Tristan Tzara (a Montmartre, in avenue Junot n. 15).
L’edifico nato da tale collaborazione risultò così essere una abitazione di dimensioni contenute (all’incirca 250/300 mq) con affaccio su strada e cortiletto: il piano terreno, pensato per le occasioni mondane e i piccoli ricevimenti, caratterizzato da due ampi saloni e alcune salette o fumoir; il primo piano, al quale  si accede attraverso un grazioso scalone, per ospitare l’appartamento privato, quindi le camera da letto e un piccolo studio-biblioteca con affaccio sul terrazzino.
Oltre il cortiletto, come detto, venne edificato il curioso spazio per la servitù, i cavalli e le carrozze, ospitati in una sorta di chalet bavarese tanto caratteristico quanto insolito per gli stili presenti in città.
Gli interni vennero arredati secondo uno stile settecentesco e ottocentesco, probabilmente frutto di acquisti effettuati direttamente dal proprietario o comunque provenienti dalla sua collezione austriaca. Un’eccezione,  lo specchio a riquadri, molto suggestivo e già, per l’epoca, fortemente moderno, ideato dal solito Loos e inserito nella saletta rosa, la prima sulla destra per chi entra nella residenza.
Nella successiva saletta verde, si nota invece una  boiserie settecentesca proveniente dalla Sicilia.
Nel salone oro troviamo un ritratto di scuola inglese di lady Arundel, probabilmente inserito per mere esigenze estetiche o collezionistiche  (curiosamente, comunque, uno dei codici di Leonardo prende il nome dal suo proprietario, lord Arundel, che poi lo donò al British museum).
Infine, nel salone rosso un’altra acquisizione collezionistica: un arazzo manifattura di Bruxelles XVIII secolo.
Milano, giugno 2014
maurocolombomilano@virgilio.it

Il monumento funebre a Gaston de Foix del Bambaia: vicissitudini di un’opera d’arte

Antefatto storico: la battaglia di Ravenna

Gaston de Foix, duca di Nemours, conte d’Etampes e viceconte di Narbonne, comandante dell’armata reale in Italia, nacque a Mazeres il 10 dicembre 1489 da Jean de Foix e da Maria d’Orleans, una delle sorelle del re Luigi XII. Il 25 giugno 1511 fu nominato governatore di Milano. A soli ventitrè anni, dopo aver condotto il proprio esercito alla vittoria, trovò inaspettatamente la morte mentre dava l’inseguimento ad alcuni nemici in fuga al termine di una della battaglie campali più cruente e sanguinose mai avvenute, passata alla storia come la battaglia di Ravenna.
ritratti idealizzati di Gaston de Foix
Come raccontano le cronache, nelle campagne attorno alla città, in una zona detta oggi Molinaccio (presso S.Bartolo), alle ore 8 del giorno 11 aprile 1512, Pasqua di Resurrezione, ebbe inizio lo scontro tra l’esercito francese e le truppe pontificie della Lega Santa, formata da veneziani, spagnoli, napoletani, e da un numero imprecisato di mercenari. Complessivamente si batterono 62.100 soldati: 34.700 della Lega Santa contro 27.400 franco-tedeschi.
Nella battaglia, proseguita per circa 8 ore, persero la vita molte migliaia di soldati; le stime oscillano dai 5.000 ai 21.000 morti. La Lega Santa si era trincerata dietro ad un poderoso fossato, scavato tutt’attorno alla zona dominata da un mulino (l’odierno Molinaccio) che divenne il quartier generale delle truppe papaline. La trincea così predisposta aveva un solo varco di circa tredici metri, secondo i progetti militari ideato per far uscire, al momento opportuno, la cavalleria che avrebbe attaccato i francesi che assediavano il campo.
Da quel varco, invece, entrò l’esercito francese guidato da Gaston de Foix, che con quella mossa trovò la vittoria ma anche, poco dopo, la morte.
A ricordo della battaglia venne eretta, 45 anni dopo (quindi nel 1557) una colonna commemorativa detta “dei francesi”, che narra del sacrifico di 20.000 soldati francesi e spagnoli. Da più parti si sostiene che il punto originario di posa del monumento coinciderebbe con quello ove trovò la morte proprio il de Foix.
A tre giorni dallo scontro, il corpo del giovane duca, scortato da un gran numero di compatrioti, molti dei quali reggevano stendardi strappati alle truppe sconfitte della Lega Santa, fu portato a Bologna per la celebrazione di un solenne rito funebre.
Successivamente, il mesto corteo con la salma dell’eroe francese partì verso Nord, e il 25 aprile entrò a Milano. In Duomo venne officiato un ulteriore rito funebre, al termine del quale il corpo fu appeso tra due pilastri della cattedrale, secondo l’usanza riservata ai duchi milanesi.
La vittoria francese tuttavia si stemperò ben presto davanti all’arrivo di nuove e fresche truppe svizzere, la cui temuta forza spinse Gian Giacomo Trivulzio a condurre fuori città l’esercito francese, per ritirarsi a Pavia.
Il 20 giugno 1512 Milano aprì così le porte alle truppe papaline guidate da Ottaviano Sforza, che prese la città in nome di Massimiliano Sforza (che però arriverà solo a dicembre, assieme al suo burattinaio, Matteo Scheiner cardinale di Sion). In estate, per spregio verso i pochi francesi rimasti e arroccati in castello, gli svizzeri profanarono la tomba di Gaston de Foix e ne gettarono i resti mortali sui bastioni. Solo l’arrivo del cardinale di Sion permetterà al corpo del duca di tornare in Duomo.
Successivamente i francesi, riorganizzatisi, affrontarono e batterono gli svizzeri nella battaglia di Marignano (13-14 settembre 1515). Il nuovo re di Francia, Francesco I, succeduto a Luigi XII, entrò solennemente in città l’11 ottobre 1515.

Un monumento funebre per l’eroe francese

Rientrati a Milano i francesi, nel corso dell’anno successivo venne decisa l’erezione di un monumento funebre da dedicare al valoroso combattente tragicamente morto in battaglia, non solo per rendere omaggio ad un importante membro di casa reale, ma anche per consolidare, davanti ai milanesi, un potere che ora appariva alquanto rafforzato.
La volontà di donare alle spoglie di Gaston un degno monumento fu dello stesso re di Francia, Francesco I, che prima di rientrare in patria nel gennaio del 1516 (quando ormai la situazione gli appariva tranquilla e saldamente nelle sue mani) diede disposizioni in merito, lasciando che alla fase pratica e organizzativa ci pensasse Odet de Foix, signore di Lautrec (cugino di Gaston de Foix) che sarebbe rimasto a Milano quale successore nel governo del ducato (e che sarà anche ricordato per essere stato uno dei peggiori governatori della città: brutale, dispotico, violento, avido di denaro).
Si può anche sostenere che forse l’idea del monumento fosse di Odet, ma non c’è dubbio che l’ordine e soprattutto i fondi necessari provenissero dal re. Non si sa con precisione quando e per quale ragione il lavoro venne commissionato al Bambaia, l’unica certezza è che a lui si affidò l’intero progetto, la supervisione e la realizzazione in piena autonomia, senza che al progetto partecipassero altri artisti dell’epoca, se non in veste di aiutanti e collaboratori.

Agostino Busti, il Bambaia: cenni biografici

Tomba di Lancino CurzioMa chi era nel 1516 Agostino Busti, per essere scelto quale artefice di un così importante monumento funebre, voluto dallo stesso re di Francia, e pensato per celebrare indirettamente la potenza francese?
La sua data di nascita si può fissare nel 1483, sulla base di un necrologio conservato all’Archivio di Stato di Milano che lo dice morto l’11 giugno 1548 all’età di sessantacinque anni.
La prima notizia è del gennaio 1512, quando insieme al fratello Polidoro chiese di essere assunto tra gli scultori del Duomo. A quella data l’artista era quasi trentenne e il suo tirocinio, forse avvenuto sotto la guida di Benedetto Briosco, doveva essersi concluso da tempo.
Del 1516 è il contratto per l’esecuzione della tomba di Francesco Orsini e della moglie Caterina Birago (oggi smembrata e divisa tra il Museo del Castello Sforzesco, il Centro San Fedele e Palazzo Pitti), finita e pagata l’anno successivo; di poco precedente il monumento di Lancino Curzio (Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco).
Con buona probabilità, fu tra gli artisti lombardi che il 24 settembre 1513 partirono per accompagnare Leonardo alla volta di Roma. Infatti, nell’elenco stilato dal grande Da Vinci dei personaggi che lo seguirono nella trasferta risulta un certo Fanfoia, nome misterioso che non identifica nessun artista conosciuto ma che presenta intriganti similitudini fonetiche con il soprannome Bambaia, tanto più se si pensa alla stravaganza del Leonardo anche in fatto di scrittura. A riprova del viaggio, nel 1521 il Cesariano include il Bambaia tra gli artisti scesi a Roma in viaggio di istruzione. Frammento della tomba di Francesco Orsini (Palazzo Pitti)Esiste inoltre un taccuino sicuramente appartenuto al Bambaia e datato 1514 in cui l’artista scrisse le sue impressioni e tracciò schizzi relativi alle antichità classiche presenti nelle città eterna.
Se a noi dunque potrebbe apparire non molto titolato quando venne scelto per il monumento a Gaston de Foix, è bene sottolineare che probabilmente il Busti aveva lavorato ad opere che non conosciamo e che non sono giunte a noi, e che avevano ben deposto a suo favore allorchè gli fu appaltata l’opera.
Successivamente al monumento de Foix, sappiamo che il Bambaia lavorò (intorno al 1522) per il monumento dedicato da Maffiolo Birago ai fratelli Gian Marco e Zenone: altra opera di grande impegno portata a termine per la cappella Birago in san Francesco Grande, ma poi rimossa e smembrata tra varie collezioni.
Dopo questa data i documenti registrano la commissione al Bambaia di un sepolcro nella chiesa di Santa Marta: dedicato a Giovanni Antonio Bellotti, morto nel 1528, fu anch’esso smantellato e disperso.
Dal 1535 il nome del Busti compare regolarmente nelle carte dell’archivio del Duomo di Milano, per opere non sempre identificabili. Certa è la sua partecipazione alle sculture dell’Altare della Presentazione (1543) e all’esecuzione delle lapide dedicata al canonico Vimercati. Meno sicura la totale autografia del monumento a Marino Caracciolo (morto nel 1538), per il quale si ipotizza un intervento, soprattutto nella parte architettonica, di Cristoforo Lombardo.
Fra le numerose opere a lui attribuite si ricorda il monumento di Mercurio Bua oggi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Treviso, che si identifica con quello che l’artista aveva in lavorazione per il musico Franchino Gaffurio, asportato da Pavia nel 1527 dallo stesso Bua come bottino di guerra.
Tomba di Lancino Curzio (particolare)
 
Altare della Presentazione nel Duomo di Milano (particolare)

Il luogo prescelto: Santa Marta

Come narrano le cronache del monastero di Santa Marta, il corpo del de Foix fu trasportato presso l’annessa chiesa il 9 febbraio 1516, per volere del Lautrec, affinchè si rivolgesse all’eroico comandante la dovuta venerazione.
La chiesa di Santa Marta delle monache agostiniane era posizionata dove oggi si apre piazza Mentana, o come scriveva il Latuada “Tenendo la strada additata dal muro laterale di S. Maria al cerchio si entra per angusto vicolo, il quale conduce alla chiesa, ed insigne monastero”.
Sempre prendendo come cicerone il Latuada, sappiamo che il chiostro ebbe origine nel 1345, anno in cui tale Simona da Casale, per dedicare la sua vita a Dio, radunò nella propria casa vicino ad una piccola cappella dedicata a Santa Marta altre compagne devote. Successivamente questa congregazione abbracciò la regola agostiniana, sotto la guida spirituale di Margherita Lambertenghi.
Supposto ritratto di suor Arcangela PanigarolaCol tempo il monastero e la chiesa crebbero di estensione ed importanza, e persino Ludovico il Moro, con la consorte Beatrice d’Este “più volte vi si trasferiva per godere di quella religiosa conferenza, ed in particolare per abboccarsi con la Venerabile Serva di Dio Veronica Negroni da Binasco laica, che fioriva in que’tempi con fama di virtuose azioni, e tantissimi esempi”.
La scelta di questa chiesa fu dettata dal fatto che all’epoca la prioressa del monastero era Arcangela Panigarola, la quale intratteneva stretti legami con importanti prelati francesi e particolarmente con Denis Brionnet, vescovo di Saint Malo e Toulon, figlio spirituale della Panigarola stessa.
Verso la fine della primavera del 1517 venne assegnata la cappella ove si intendeva tumulare il corpo e si cominciarono a celebrare delle messe.
La prima notizia circa il lavoro di costruzione del monumento ad opera del Busti è del 2 ottobre del 1517, quando Arcangela Panigarola scrisse a Denis Brionnet: “...e così sona contenta che Vostra Signoria me consegliasse como debia fare de cento e vinti schudi, qualli lassò Monsignore Reverendissimo de Lodeva per comenzare a fornire la capella della Madona, la qualle cossa non se possuto fare per ché Monsignore Lautrec non vole movere el corpo de Foys fini che non habio fata la sua capella, con una archa molto superba”.
Sembrerebbe dunque che il corpo del de Foix fosse stato temporaneamente interrato nella cappella dedicata della Madonna, in attesa di essere trasferito nel monumento destinato a riceverlo, monumento il cui esatto posizionamento non ci è stato tramandato.
La decorazione della cappella della Madonna fu presumibilmente affidata a Bernardino Luini e fu per lo meno parzialmente finanziata da Guillaume Brionnet, come ricorda la lettera di Arcangela Panigarola. La cappella era destinata ad ospitare non solo i resti del de Foix (temporaneamente), ma anche “del Signor Rugiero Barono de la Borgogna Francese, il qual era parente del quondam illustrissimo Signor de Foys, e il magnifico domino Pietro (non è riportato alcun cognome) senatore di Milano qualle era Francese”.

Struttura ipotetica del monumento

Purtroppo non sono giunti a noi i disegni progettuali del monumento funebre tracciati dal Bambaia, se non alcuni schizzi che però non sono unanimamente attribuibili a questa precisa committenza, quanto piuttosto ad altri progetti di monumenti funebri che il Bambaia aveva ideato.
Progetto di monumento funebre un tempo collegato alla tomba di Gaston de Foix (Victoria and Albert Museum)
Se consideriamo poi, come meglio vedremo di seguito, che l’opera non solo non venne mai terminata, ma addirittura smembrata per quanto riguarda le poche parti lavorate, il più grande dilemma che ancora oggi ruota attorno all’opera dedicata al de Foix è come fosse intesa dall’artista la struttura globale.
Innanzitutto per almeno tre secoli non fu neppure chiaro se nella mente del Bambaia vi fosse l’idea di una tomba parietale (cioè da assemblarsi appoggiandola ad una parete) oppure isolata (cioè portante e quindi isolata nel mezzo di uno spazio dedicato).
Disegno di Leonardo per la tomba di Gian Giacomo TrivulzioAll’epoca del Bambaia si andava registrando il passaggio dalla tomba parietale a quella isolata, secondo una nuova visione architettonica. Così, dopo i monumenti quattrocenteschi a parete quali i famosi dedicati al Brivio in Sant’Eustorgio o ai Della Torre in Santa Maria delle Grazie, alla fine degli anni ottanta dello stesso secolo si passò alle tombe isolate come quella di Giovanni Borromeo in San Francesco Grande, quasi a riprendere un tema tipicamente trecentesco, che aveva permesso la nascita della famosa statua equestre di Bernabò Visconti situata in posizione dominante nell’abside della chiesa di San Giovanni in Conca (collocazione che poi San Carlo Borromeo non volle tollerare a causa dell’eccessiva venerazione che i milanesi avevano cominciato a riservargli, e che quindi ordinò si spostasse in posizione defilata).
La struttura del monumento isolato era quella tipica dell’edicola a pilastri che racchiudeva in sè la figura del defunto in posizione supina, ritratto nel momento delle esequie. L’esempio più illustre a Milano era il mausoleo Trivulzio, come appare negli schizzi del Leonardo: una statua equestre del condottiero sopra un basamento costituito da una edicola classica, sotto la quale si collocava il sarcofago.
Le diverse mode dei monumenti parietali o isolati si potevano registrare anche quali caratteristiche di certe città: a Venezia si privilegiava il parietale (Pietro Lombardo, monumento al doge Pietro Mocenigo, e Tullio Lombardo, monumento al doge Andrea Vendramin, entrambi nella chiesa di San Giovanni e Paolo – S.Zanipolo, la chiesa dei funerali dei dogi). A Roma, sotto la spinta riformatrice di Michelangelo, prevaleva il monumento isolato.
Monumento funebre di Luigi XII a Saint-DenisPer valutare a quale tipologia si fosse ispirato il Bambaia, è doveroso valutare la committenza, nel nostro caso francese, e notare come le due sepolture più vicine nel tempo a quella di Gaston de Foix fossero i mausolei di Carlo VIII (poi distrutto durante la Rivoluzione ma ben conosciuto grazie a precise incisioni giunte a noi) e di Luigi XII, entrambi di tipo isolato, posti nell’abbazia di Saint-Denis. Quest’ultimo monumento, dedicato a Luigi XII e alla moglie Anna di Bretagna, venne realizzato dai toscani Antonio e Giovanni Giusti, ed ebbe inizio nel 1515, quindi poco prima di quando Bambaia iniziasse quello per Gaston de Foix. I due lavori procedettero in parallelo e mostrerebbero dunque non casuali coincidenze.
Accettando questa impostazione storica, è possibile ritenere che il monumento da collocarsi in Santa Marta fosse dunque di tipo isolato, e si sarebbe dovuto caratterizzare per un’edicola sotto la quale avrebbe trovato posto la scultura del condottiero ritratto giacente sul lit de parade, con in evidenza i segni del potere e del rango.
Nel periodo durante il quale il Bambaia, aiutato da valenti scultori, si dedicava alla prestigiosa committenza, realizzò innanzitutto la figura di Gaston de Foix, oltre a numerose formelle che rappresentavano scene di battaglia e il momento della processione che conduce il corpo a Milano.
Gaston de Foix
Vennero scolpite poi le figure degli apostoli, che avrebbero (forse) dovuto essere poste attorno all’edicola. Vennero lavorati anche numerosi fregi e pilastri. Tuttavia il Bambaia era ancora ben lontano dall’aver completato tutti i pezzi marmorei che risultavano nella sua mente necessari per cominciare ad innalzare il monumento, allorchè inaspettati mutamenti politici fermarono il tutto.
La processione che trasporta il corpo a MilanoUn pilastrino
Gaston de Foix si lancia nella mischia malgrado l'esortazione di Bayard

L’abbandono dei lavori

Verosimilmente infatti l’attività si interruppe nel 1521, per l’ulteriore peggioramento della già critica situazione francese. In estate Lautrec, minacciato dai ribelli milanesi e in guerra con le forze papali, Carlo V, il Marchese di Mantova e i fiorentini, fu costretto a vendere le sue proprietà personali per pagare le guarnigioni: sicuramente quindi non era molto preoccupato del destino che sarebbe toccato alla tomba di suo cugino.
Nell’ottobre del 1521 il Bambaia vendette sei centenari di marmo di Carrara alla fabbrica del Duomo. Questo materiale forse doveva essere usato per la tomba del de Foix: la sua vendita fa pensare che lo scultore fosse ormai consapevole dell’impossibilità di continuare il progetto in tempi brevi. E difatti nel novembre 1521 i francesi furono cacciati da Milano e il 4 aprile 1522 Francesco II Sforza, con l’appoggio della truppe imperiali e papali, entrò in trionfo in città. L’esercito francese fu definitivamente sconfitto nella battaglia della Bicocca (27 aprile 1522).
Le armate reali occuparono ancora per breve tempo Milano alla fine del 1524 (annata orribile, oltretutto, per un’epidemia di peste che uccise all’incirca 80.000 milanesi), ma furono definitivamente sconfitte il 24 febbraio 1525 nella battaglia di Pavia. Francesco I cadde prigioniero nelle mani degli Spagnoli, e Francesco II Sforza rientrò nuovamente a Milano trionfatore: fu la fine del dominio francese, sarà l’inizio di quello spagnolo. Tuttavia la situazione rimase estremamente instabile fino al 1529, anno in cui Carlo V e Francesco I stipularono la pace.
Alla luce delle vicende politiche e militari appena descritte, si può pensare che quegli elementi della tomba che furono effettivamente eseguiti, furono scolpiti tra la metà del 1517 e la metà del 1521. Non si sa che sorte abbia avuto il marmo che si trovava nella bottega del Bambaia nel 1528, ma si può supporre che o non sia stato lavorato affatto, o che lo sia stato assai poco, perché altrimenti non avrebbe potuto servire ai fabbricieri del Duomo a cui doveva essere lasciato in eredità.
È qui importante ricordare che il Bambaia accettò, sempre per posizionarlo in Santa Marta, la commissione di realizzare un altro monumento funebre, da dedicarsi all’ecclesiastico Giovanni Antonio Bellotti, amico e consigliere della madre superiore Arcangela Panigarola. La sepoltura avvenne il 27 ottobre 1528. Più tardi, a lavori già iniziati, il contratto fu dichiarato nullo, la tomba smantellata e il corpo spostato.
Il mistero rimane legato a questo fatto: non sappiamo se il Bambaia usò per la tomba del Bellotti qualche elemento in origine progettato per il monumento de Foix, e neppure sappiamo, cosa assai importante, se in seguito il Bambaia ritirò i pezzi lavorati, oppure anche in questo caso li abbandonò in qualche spazio del monastero.
Non è ipotesi tanto inverosimile supporre che il Bambaia riciclasse per la nuova opera qualche pezzo, ovviamente non raffigurante fatti d’armi o personali del de Foix; avrebbe ben potuto sfruttare qualche altro elemento architettonico neutro, come fregi e decorazioni floreali, tanto più che nessuno lo avrebbe mai rimproverato, essendo Odet de Foix, l’unico eventualmente interessato all’opera funebre abbandonata, morto nel luglio del 1528.
Quando il Vasari visitò Santa Marta prima del l550 vide “molte figure grandi e finite, ed alcune mezze fatte ed abozzate, con assai storie di mezzo rilievo in pezzi e non murate, e con moltissimi fogliami e trofei”. In un altro passo delle Vite entrò nel dettaglio e scrisse: “Sono da dieci storie di figure piccole, sculpite con molta diligenza, de’ fatti, battaglie, vittorie et espugnazioni di terre fatte da quel signore, e finalmente la morte e sepoltura sua: e per dirlo brevemente ell’è tale quest’opera, che, mirandola con stupore, stetti un pezzo pensando se è possibile che si facciano con mano e con ferri sì sottili e meravigliose opere, veggendosi in questa sepoltura fatti con stupendissimo intaglio fregiature di trofei, d’arme di tutte le sorti, carri, artiglierie, e molti altri instrumenti di guerra, e finalmente il corpo di quel signore così morto, per le vittorie avute. E certo è un peccato che quest’opera, la quale è degnissima di essere annoverata fra le più stupende dell’arte, sia imperfetta, e lasciata stare per terra in pezzi senza essere in alcun luogo murata”.
Dunque i pezzi del monumento, solo in parte finiti, erano lasciati senza alcuna cura per terra. Non si sa in quale punto del monastero li vide, probabilmente in qualche parte del chiostro dove i visitatori non erano normalmente ammessi.

Smantellamento e prime dispersioni

Nel 1673, da un inventario dei beni situati nella villa Arconati di Castellazzo (poco lungi da Bollate), sappiamo che alcune sculture del monumento erano in possesso di questa nobile famiglia, e probabilmente tale possesso era iniziato parecchi anni prima. Per la precisione, risultavano custoditi in loco: sette rilievi, quattro dei quali larghi un braccio, gli altri tre larghi due braccia; un rilievo lungo e stretto con trofei guerreschi, due pilastrini scolpiti su tre lati.
Progetto del Richini per il restauro di S. Marta del 1621-24Con buona probabilità i marmi Arconati furono comprati nello stesso periodo in cui Flaminio Piatti comprò i due rilievi a trofei successivamente donati all’Ambrosiana; dunque questa transazione deve aver avuto luogo in un periodo di tempo che va dal momento in cui Vasari vide la tomba e il 1613, l’anno della morte del Piatti, molto probabilmente tra il 1570 e il 1600.
In questo periodo infatti era madre superiore del convento di Santa Marta Paola Maria Arconati (morta nel 1604), la quale convinse le sorelle a disfarsi di tutte le opere di valore custodite nelle celle e nei locali del monastero, al fine di ricavare il denaro necessario per ornare adeguatamente l’altare. Non sappiamo a quale prezzo queste parti scolpite dal Bambaia furono vendute dalla madre superiore ai propri parenti per addobbare la residenza di Castellazzo. Non è neppure possibile sapere con esattezza quanti altri frammenti del monumento furono venduti dalle suore alla fine del ‘500.
Certo è che nel 1674 non restava più alcun elemento dell’opera presso Santa Marta, fatta eccezione per il pezzo più pregevole, la scultura a figura intera di Gaston de Foix ritratto durante le esequie. Le suore decisero dunque di far murare l’opera d’arte nel chiostro, in posizione verticale (come se il morto fosse appoggiato alla parete, scelta alquanto discutibile) e fecero collocare una lapide con la seguente dicitura:
SIMVLACRVM
GASTONIS FOXII
GALLICARVM COPIATRVM DVCTORIS
QUI IN RAVENNATE PRAELIO CECIDIT
ANNO MDXII
CVM IN AEDE MARTHAE RESTITVENDA
EIVS TVMVLVS DIRVTVS SIT
HVIVSCE COENOBII VIRGINES
AD TANTI DVCIS IMMORTALITATEM
HOC IN LOCO COLLOCANDVM
CVRAVERE
ANNO MDCLXXIV
Quando infatti il Latuada scrisse la sua Descrizione di Milano (1738) visitando la chiesa e il monastero di Santa Marta parlò della scultura in “riglievo” come l’unico pezzo rimasto in loco (“avanzato”) dal “celebre mausoleo eretto alle ossa di questo duca con istatoe ed intagli (con statue e sculture) in bianco marmo lavorato da Agostino Busti detto il Bambaja, insigne Scultore, lodato da Giorgio Vasari e Giovanpaolo Lomazzo. Molte di quelle statoe si ritrovano nella celebre Villa di Castellazzo del Sig. Conte Arconati, ed altri bassi riglievi si conservano nella Galleria delle Sculture annessa alla Bibblioteca Ambrosiana”. La descrizione si chiude con la trascrizione delle parole della lapide che le monache avevano murato accanto alla scultura.
Pochi anni dopo Marc’Antonio Dal Re, parlando della villa di Castellazzo, descrive i marmi che vi erano custoditi, tra i quali spiccavano: “i famosi bassorilievi, altre volte adornamento del sepolcro di Gastone di Foix, fanno vaga mostra, e piena fede della rara dilicatezza dello scalpelo, che come molle cera ha impresso nel marmo picciolissime figure disposte in forma di sanguinosa battaglia, ed in lugubre apparato di morte, animali, fiori, cartelle, ed altri tali ornamenti, da fare invidia alle rinomate greche sculture”.
Le sculture del Bambaia nella villa Arconati (Marc'Antonio Dal Re)

Soppressione di Santa Marta

Il monastero di Santa Marta fu soppresso nel 1798 e pochi anni dopo il ritratto di Gaston de Foix con relativa iscrizione fu staccato dal muro e trasferito all’Accademia delle Belle Arti; contemporaneamente altre sculture furono ritirate dal convento: un “profeta Isaia” assiso seguì la stessa sorte della lastra, mentre altri quattro “profeti o apostoli” del tutto simili, visti dal Bossi a Chiaravalle, provenivano presumibilmente dalla chiesa.
I locali del monastero furono dal 1844 sede del Museo di Storia Naturale, ma finirono con l’essere poi demoliti nel 1861, per fare posto ad una piazza e alla costruzione del Regio istituto tecnico di Santa Marta, che per qualche anno diede il nome allo slargo così ricavato. Con delibera del 13 settembre 1865 la piazza fu dedicata alla battaglia di Mentana, toponimo che ancora oggi conserva. Nella piazza venne collocato nel 1880 il monumento del Belli dedicato ai caduti di quella battaglia, e all’inaugurazione (il 3 novembre) si presentò lo stesso Garibaldi.
Inaugurazione del monumento ai caduti di Mantana

Epilogo

Il pittore Giuseppe Bossi fu il primo a tentare un’analisi approfondita dei vari pezzi del monumento de Foix e a proporre una ricostruzione che non si basasse, come precedentemente qualcuno aveva azzardato, sulla pura invenzione.
Nella sua opera dedicata al monumento (del 1852) elencò come probabili elementi della tomba: sette rilievi narrativi, un rilievo a trofei lungo e stretto, due pilastrini, sei figure assise di “apostoli, evangelisti o profeti” a Castellazzo, due rilievi a trofei lunghi e stretti e un pilastrino all’Ambrosiana; il “profeta Isaia” e la lastra tombale all’Accademia di Brera; quattro “profeti o apostoli” all’Abbazia di Chiaravalle; due lesene, di cui una con la firma del Busti già nella collezione Anguissola e da lui acquistate; inoltre certi putti già nella collezione Monti.
Risulta immediatamente chiaro che numerosi nuovi pezzi si venivano ad aggiungere a quelli citati dagli scrittori precedenti. La collezione di Castellazzo, che nel 1822 era già passata alla famiglia Busca, era stata arricchita di sei figure assise di “apostoli, evangelisti o profeti”, acquistati qualche tempo dopo che il Dal Re aveva descritto gli arredi della villa nel 1743, probabilmente al momento della soppressione di Santa Marta.
L’Ambrosiana aveva acquistato un pilastrino delle medesime dimensioni di quelli conservati a Castellazzo, e cinque sculture provenienti dal monastero di Santa Marta, trascurate o forse del tutto ignote agli storici precedenti, erano giunte, una all’Accademia, e le altre quattro a Chiaravalle. Infine, lo stesso Bossi aveva comprato due pilastri decorativi.
Durante tutto il corso del XIX secolo il monumento a Gaston de Foix suscitò un profondo interesse sia tra gli storici d’arte che tra i collezionisti, interesse indubbiamente ispirato in parte dalla precisa descrizione del Bossi e dalla sua intelligente proposta di ricostruzione della tomba, e in parte dal diffondersi dello storicismo romantico.
Purtroppo, sulla foga del momento, si finì per attribuire al monumento per il de Foix qualsiasi scultura del Bambaia di cui non si sapesse con certezza dare una diversa collocazione storica. E così, decine di pezzi smantellati dagli altri due monumenti funebri realizzati dal Busti, quello per i Birago e quello per il Bellotti, finirono con l’essere annoverati come appartenenti al progetto de Foix. Con tale sistema tutt’altro che critico, si finì per inserire nel catalogo di Brera ben 59 pezzi come originali del monumento al de Foix.
Nonostante la buona volontà di molti critici, e benchè sulla fine dell’Ottocento si cominciasse a distinguere tra pezzi originali e pezzi provenienti dagli altri lavori scultorei del Busti, è ad oggi impossibile sapere con esattezza quanti e quali pezzi avesse previsto il Bambaia, e soprattutto quali oggi esistenti fossero davvero appartenuti al progetto per il de Foix.

Attuale collocazione

Nel 1900, all’apertura del Castello Sforzesco restaurato e delle relative raccolte archeologiche ed artistiche, venne collocata nella Sala IX la scultura raffigurante Gaston de Foix, circondata da alcuni tra i migliori pezzi che avrebbero dovuto costituire l’intero monumento, grazie al lavoro di salvataggio compiuto dal pittore Bossi. La collocazione venne dopo la seconda guerra rielaborata e progettata dallo studio BBPR.
Allestimento originale dello studio BBPR
Nel 1990 l’intera raccolta dei pezzi fino ad allora custoditi dalla famiglia Arconati presso la villa di Castellazzo venne acquistata dal Comune di Milano e conseguentemente trasferita in Castello, al fine di una corretta riunificazione delle sculture del Bambaia.
Attuale sistemazione dei frammenti al Castello Sforzesco (Sala 15)
Altri pezzi dell’opera sono conservati oggi all’Ambrosiana, mentre ulteriori frammenti scultorei si trovano a Londra (Victoria and Albert Museum) e a Torino (Musei Civici).



Bibliografia

Agosti G., Bambaia e il classicismo lombardo, Torino, Einaudi 1990;
Bossi G., Descrizione del monumento di Gastone di Foix, scolpito da Agostino Busti detto il Bambaja, Milano, Fusi 1852;
Dal Re M., Ville di delizia dello Stato di Milano, 1743;
Fava F., Storia di Milano, Milano, Libreria Milanese 1997;
Fiorio M.T., Agostino Busti: uno scultore lombardo per il re di Francia, in Il Bambaia, Firenze, Cantini 1990;
Garberi M., Fiorio M.T., Shell J., Agostino Busti detto il Bambaia. 1483-1548. Il monumento di Gaston de Foix, Milano, Finarte e Longanesi 1990;
Latuada S., Descrizione di Milano, tomo IV, 1738;
Shell J., Il problema della ricostruzione del monumento a Gaston de Foix, in Il Bambaia, Firenze, Cantini 1990;
Vasari G., Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori, 1550.


 giovedì 15 febbraio 2007
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